FanFiction SUPERMIKE: Capitolo 11 Finale

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Bene, questo è l’ultimo capitolo! È lunghissimo, praticamente il doppio della media degli altri, ma non mi sembrava il caso di dividerlo ulteriormente, quindi prendetevi il tempo che vi serve e godetevelo!

CAPITOLO 11: ALBA SU NEW YORK

Non è più divertente. Nemmeno da guardare.
Supermike e lo Zagor alternativo sono allo stremo delle forze. Ormai non si preoccupano nemmeno più di parare o schivare i colpi, riescono a pensare soltanto a colpire il più forte possibile. L’unica cosa che li tiene ancora in piedi è la rabbia.
Non c’è più nemmeno curiosità, nei volti degli spettatori. Anche delinquenti di quella risma ad ogni colpo sussultano e incassano la testa nelle spalle o distolgono lo sguardo, disgustati da quello che è solo più un gioco al macello, una gara di caparbia resistenza.
Supermike mena un pugno verso il volto di Zagor, senza nessuna tecnica, quasi alla cieca, con gli occhi gonfi pieni di sudore e sangue. Il colpo va a segno, Zagor barcolla e sputa un fiotto di sangue e saliva. Qualche istante di immobilità, poi è il turno di Zagor, il cui pugno centra Supermike alla tempia. Non ha che una frazione della forza che aveva all’inizio del combattimento, ma a Supermike sembra che la campana di una chiesa abbia battuto un rintocco dentro al suo cervello. Allarga le gambe per non cadere, rendendosi conto di non poter reggere un altro colpo.
Deve attaccare lui, adesso. Ma le braccia sembrano di piombo. È impotente come uno spaventapasseri di fronte a una tempesta.

Cico, Perry e gli altri quattro soldati avanzano a piedi verso il centro dei Five Points. Camminano a testa bassa, i soldati impugnando il fucile, Perry con la mani sulla pistola alla cintura, Cico sbattendo rumorosamente i denti. Sono nel bel mezzo della città più popolosa d’America, eppure qualcosa suggerisce loro che stanno entrando in zona di guerra.
Ma è solo una sensazione. In giro non c’è nessuno.
Le strade sono deserte. Solo, ogni tanto, sentono sulle loro schiene sguardi indagatori, provenienti da dietro persiane chiuse.
La nebbia non accenna ad alzarsi, e le prime luci del giorno si diffondono tra le gocce di umidità sospese nell’aria creando strani giochi di luce, come bizzarri, minuscoli arcobaleni, le cui forme e colori però sembrano distorti, sbagliati. Colori disciolti nell’aria, a cui è difficile dare in nome.
«Per la santa Virgen de Guadalupe…» mormora Cico, cercando di dominare il tremito delle gambe. «Ma che posto è questo? Sembra che un esercito di fantasmi debba saltare fuori da un momento all’altro!»
«Non lo so.» risponde Perry. «Ci hanno parlato di due gang che dominano la zona, ma non abbiamo ancora visto nessuno. E non credo che sia solo perché è l’alba.»
A Cico si rizzano i capelli in testa. «Vuole dire… che sono TUTTI MORTI?!…»
Perry si concede un mezzo sorriso, che però non arriva fino agli occhi. «Eh, no… no… ma c’è qualcosa di strano, nell’aria… questi strani colori nella nebbia… e questo silenzio… non si sentono nemmeno più i rumori del resto della città.»
«Oh, MAMMA…»
«Qui sta succedendo qualcosa… e, da quello che mi hai raccontato di Altrove, è probabile che Zagor sia stato coinvolto in qualcosa di soprannaturale. Qualcosa che sta succedendo, o sta per succedere. E, come lo sentiamo noi, lo sente la gente del quartiere, gang comprese.»
«E quindi loro se ne stanno a casa al calduccio, mentre noi ci buttiamo proprio nell’occhio del ciclone, eh?»
«Se preferisci torna pure indietro. Noi proseguiamo da soli.»
«Oh, non se ne parla nemmeno, caramba y carambita!»
Perry sorride, e continuano a camminare. Non hanno bisogno di seguire le indicazioni che ha fornito loro il conducente della carrozza, anche perché la nebbia sembra nascondere tutte le vie laterali dietro una cortina di umidità. Sanno dove devono andare, come se ci fosse qualcosa che li attira. Come se tutto il quartiere fosse come un imbuto con le strade in discesa verso il centro. Come la trappola di un formicaleone.

Zagor e Gambit sono usciti dal palazzo attraverso l’uscita sul retro, e sono tornati sulla strada principale facendo un largo giro. Non sono molto lontani dall’assembramento degli spettatori del duello, ma anche se non ci fosse la nebbia a proteggerli nessuno li vedrebbe. Tutti gli occhi sono per lo scontro.
«Zagor, quest’affare sta diventando caldo. E vibra. Sembra quasi che dentro ci sia qualcosa che si muove.»
«E non è solo questo…» Zagor fa un cenno col capo, per dire a Gambit di guardarsi intorno. Strani riflessi multicolori stanno trasformando la nebbia intorno a loro in una aurora boreale sbiadita e in miniatura. Gambit prova a spostare l’artefatto. Le pallide luci si muovono in risposta.
«Ma non emette luce! Le mie mani non sono illuminate!»
«Questo coso obbedisce a regole diverse. Magari se le crea. Accidenti ad Altrove, di qualsiasi realtà sia!» sbotta Zagor, a denti stretti. «Ci sono cose che devono essere distrutte!»
«Credi che stia per attivarsi? Magari ho espresso qualche desiderio senza rendermene conto?»
«No, c’è un metodo particolare per attivarlo, che non conosco. Ma quelli di Altrove mi hanno detto che il tempo funziona in modo strano, a volte, vicino a questo coso. Forse sta anticipando qualcosa. Forse qualcuno sta per attivarlo.»
«Cioè, ha già cominciato ad accendersi perché sa che tra poco qualcuno lo attiverà? Ma non ha senso!»
«No, non ne ha. Ma non è la cosa peggiore.»
«Ma non c’è mai fine… e quindi la cosa peggiore è…»
«Che l’unico qui intorno che sa come usarlo è il mio doppio.»
«Oh, cavolo. Dobbiamo andarcene. Portarlo il più lontano possibile da qui.»
«Sì. Mi piacerebbe farlo a pezzi a colpi di scure, ma con quella storia che è carico di energia ho paura che possa esplodere. Meglio affidarlo ad Altrove… anche se loro non lo distruggeranno mai. Dannazione.»
«Muoviamoci. Ce la fai?»
«Ce la devo fare. Mi dispiace lasciare Supermike nei guai, per insopportabile che sia, ma non sono in grado di aiutarlo. E poi, se c’è qualcuno in grado di uscirne vivo, è lui… per quanto mi costi ammetterlo.»

Supermike incassa un altro pugno. Rimane in piedi. Un altro ancora. Rimane in piedi. Il terzo è talmente debole e scoordinato che lo colpisce a una spalla. Ma è sufficiente. Cade.
Riesce a girarsi in modo da non sbattere la testa per terra, ma il dolore ai gomiti si ripercuote per tutto il corpo.
Cerca di rialzarsi, si tira su a mezzo, poi ricade ancora sui gomiti. Non ce la fa. Gli gira la testa. Si sente svenire.
Zagor accenna un “aayyaakk”. Gli esce afono e rauco, ma comunque una coltellata nelle orecchie di Supermike.
«Tu… Brutto…»
Non è solo la cattiveria, a volte, a determinare il vincitore. A volte c’è anche un altro fattore di cui tenere conto in uno scontro: la motivazione.
E questo fantoccio, oltre a scimmiottare l’unico uomo che l’ha battuto, è venuto a comandare a casa sua. Non ci torna da anni, ma è stato bambino qui. È ancora casa sua.
«…Tu… non vieni… a sporcare… a casa mia!»
Raccoglie forze che non sapeva di avere e colpisce con un calcio la caviglia di Zagor, facendolo cadere pesantemente sulla schiena. Si trascina fino a portarsi sopra di lui. Zagor ha gli occhi chiusi e respira pesantemente.
Lo colpisce al viso. «Questa…» Di nuovo. «È…» Ancora. «Casa…» Ancora. «Mia!»
L’ultimo pugno lo trascina giù, e si accascia, in una parodia di abbraccio col suo avversario.
Rimangono immobili per diversi minuti. Il pubblico trattiene addirittura il respiro.
Poi Supermike ha un tremito. Lentissimamente, si puntella sulle mani e rialza la schiena. Rotola di lato, cerca di alzarsi, ricade sulle ginocchia. Rimane lì, inginocchiato, a testa bassa, con le braccia abbandonate, per qualche minuto.
Poi solleva la testa per guardare il suo avversario, ancora privo di sensi.
«Eeyyooww, bastardo.»

Una sagoma si staglia nella nebbia di fronte a Cico e ai soldati. Alta quanto un uomo, ingobbita, priva di forma, che avanza a scatti. Le ombre colorate si agitano con maggiore forza intorno ad essa, come lenzuola stese spinte da una debole brezza.
Cico prende a rosicchiarsi freneticamente le unghie. «OH, POR LA SANTA VIRGEN DE GUADALUPE! È un fantasma!»
Perry estrae la pistola, e i soldati puntano i fucili. «Chi va là?»
La sagoma risponde con una voce conosciuta. «Cico? Cico, sei tu?»
«Oh, no! È la voce di Zagor! È diventato un fantasma!»
«Cico, pancione mio… quando smetterai di dire stupidaggini?»
«È Zagor! È davvero Zagor!»
Cico corre verso il suo amico, e la sagoma si rivela per quello che è: uno Zagor pesto e dalla schiena curva che poggia un braccio sulle spalle di Gambit.
«Zagor! Ho temuto il peggio!»
Cico lo abbraccia, facendolo gemere di dolore.
«Ma… ma sei un disastro!»
«Eh eh… già… »
Cico si rivolge a Gambit. « E tu, cosa ci fai qui?… »
Gambit sorride. «Messicano, non sai quanto sia felice di sapere che sei vivo.»
«Eh?»
Zagor richiama l’attenzione di Cico. «Ora che sei qui… forse ho un’idea. Forse possiamo risolvere la situazione, tirando fuori dai guai Supermike e senza dover lasciare l’artefatto nelle mani di Altrove.»
«Supermike? Artefatto? Zagor, di cosa stai parlando?»
«Adesso, pancione mio, dovrò chiederti di essere coraggioso.»
«Me lo chiedi abbastanza spesso, mi sembra.»
«Lo so. Hai di che rendere orgogliosi i tuoi antenati conquistadores. Ma stai tranquillo: possiamo dire che nessuno conosce il nostro nemico bene quanto me.»
Cico inarca le sopracciglia.

Zagor ha ripreso i sensi e si è girato sulla pancia, ma non riesce ad alzarsi. Supermike, invece, è già in piedi, e ricambia gli sguardi della folla silenziosa. Solo ora nota gli strani effetti luminosi nella nebbia. Ma non ha tempo né voglia di cercare una spiegazione: è impegnato a pensare a come salvare la pelle.
Non è sicuro che questi barboni lo riconoscano come loro capo solo perché ha sconfitto il precedente. E, ridotto com’è, di scappare su per i tetti non se ne parla. Magari se se ne andasse semplicemente lo lascerebbero passare. Non ha trovato l’artefatto che cercava Altrove, ma chi se ne frega.
Muove un passo verso una direzione a caso, quando un grido conosciuto e odiato scuote l’aria.
«AAAAYYYAAKK!»
«E che cavolo…»
Supermike si gira verso il suo avversario, che però è ancora con la faccia a terra. «Ma allora cosa…»
I membri della gang si dividono, aprendo un passaggio. Ma non è per lui.
I loro volti sconvolti indicano con chiarezza quello che stanno pensando. Non sono in grado di concepire l’inconcepibile, e l’unica reazione possibile è la paura. Si allargano per allontanarsi dall’uomo che si sta avvicinando, con un braccio sulle spalle di Gambit e uno su quelle del colonnello Perry, pallido come un fantasma del loro capo esanime.
«Sei tornato per me, vecchio mio?» mormora. Poi vede il pancione messicano, che si nascondeva dietro agli altri, passare davanti. Ha l’aria incerta, gli occhi sbarrati per la paura, le ginocchia che sbattono l’una contro l’altra. Tra le mani regge un oggetto rotondo e arancione. Intorno a lui le ombre colorate sono più dense e agitate.
«Ah, forse ho capito.»
Supermike torna dallo Zagor alternativo e lo obbliga ad alzare la testa tirandolo per i capelli.
«Guarda. Lo vedi? È il tuo amico messicano. Proprio lui. Quello per cui sei diventato… così. Guarda un po’, è vivo. È stato tutto inutile.»
Lo lascia andare e si tira indietro, ma la testa di Zagor non cade. Anzi, trova la forza di sollevarsi e mettersi in ginocchio. I suoi occhi si riempiono di lacrime.
«Cico…»
Cico si avvicina, titubante, fino a un passo da quest’altro Zagor. Si gira a guardare il “suo” Zagor, che gli fa cenno di continuare, quindi deglutisce fa l’ultimo passo, inginocchiandosi poi davanti allo Zagor alternativo e posando l’artefatto al suo fianco.
«Cico…» Lo Zagor alternativo alza una mano dalle nocche insanguinate, e accarezza il volto del messicano. «Ma non sei tu, vero?…»
«C-c-c-credo… credo di no…»
«Già…» Zagor abbassa la mano. «Capisco… capisco molte cose, ora. Ti posso abbracciare lo stesso?»
«Ah… eh… i-i-immagino di sì…»
Zagor si protende verso Cico e lo circonda con le braccia, appoggiandogli poi la testa sulla spalla.
«Mi sei mancato tanto, pancione mio… mi sono perduto, senza di te… Non può esistere Zagor senza Cico, lo sai…»
Cico non risponde, ma lo abbraccia a sua volta, titubante.
«Perduto… nella notte… trascinato dalla rabbia, senza nessuno a mostrarmi la retta via… cosa ho fatto… mio Dio, cosa ho fatto… cosa sono diventato…»
Zagor scioglie l’abbraccio, e raccoglie l’artefatto, portandoselo al petto.
«Mi aiuti ad alzarmi, vecchio mio?»
Cico annuisce, a bocca aperta, e aiuta Zagor a rimettersi in piedi. Supermike si irrigidisce, ma lo Zagor alternativo non sembra interessato a ricominciare a lottare.
«È tempo che ritorni a casa… senza di te, purtroppo. Mi aspetta un mondo dove tu non ci sei… ma sono ancora dalla parte giusta, là. Tutto quello che ho fatto qui, di là non è mai successo. Forse posso essere ancora… com’ero quando c’eri tu.»
Inizia a muovere le dita lungo la spirale e sui simboli, pronunciando sottovoce delle parole incomprensibili. Poi, i suoi occhi si fissano in quelli di Cico. Le lacrime che gli rigano le guance riflettono le luci multicolori che si affollano intorno a loro, ora agitate come vele in una tempesta.
«Addio, pancione mio. Mi sei mancato. E mi mancherai.»
E con queste parole Zagor si stringe l’artefatto al petto. Tutte le luci multicolori convergono su di lui, avvolgendolo come una coperta, mentre Cico e tutti quelli presenti nella piazza sentono il terreno sfuggire sotto i piedi, come se si stesse inclinando verso quel centro. Molti gridano, e scappano, cercando di allontanarsi e finendo per calpestarsi a vicenda.
Poi, d’improvviso, tutto finisce. Il terreno è fermo, e non si è mai mosso. La nebbia è solo nebbia, e la luce è solo luce. E lo Zagor alternativo non c’è più.
«Santa… Virgen… de… Guadalupe.» Cico si volta verso il suo Zagor, per accertarsi che sia ancora lì. «Zagor! Mi devi un MUCCHIO di spiegazioni!»

Gli uomini della gang degli Irlandesi si stanno disperdendo in fretta, desiderosi solo di allontanarsi da quel luogo di inquietanti prodigi. Senza un capo si divideranno in bande più piccole e facilmente gestibili dalle forze dell’ordine. Inoltre anche l’artefatto è andato, quindi Altrove non avrà di che lamentarsi.
«Un’altra impresa perfettamente riuscita per Supermike!»
Supermike si avvia con passo lento e strascicato. Si ferma quando passa a fianco di Zagor e dei suoi leccapiedi (il colonnello Perry e gli altri soldati stanno ancora guardando il nulla con le bocche spalancate). Zagor sta cercando di frenare il fiume di parole del messicano, reggendosi alla sua donna. Supermike allunga un braccio per posarlo sulla spalla del suo vecchio avversario.
«Quel tizio non eri tu.» gli dice, indicando col pollice dietro di sé. «Quindi, la sua sconfitta non vale. Tra me e te non è cambiato niente. Mi piacerebbe ripetere la sfida… ma facciamo un’altra volta.» inclina la testa, facendo scrocchiare il collo dolorante. «Ora sono un po’ stanchino, e gradirei infilarmi in un letto.»
Riprende a camminare senza aspettare la risposta di Zagor, che arriva comunque dopo qualche passo.
«Quando vuoi, Gordon!»
«Supermike.» risponde, senza voltarsi. «Il mio nome è Supermike.»

La carrozza lo lascia davanti al suo albergo. Jesse e Roberts scendono dalla veranda dove lo stavano aspettando e gli vanno incontro, rabbiosi.
«Signor Supermike! Avevamo un accordo! Avremmo dovuto incontrarci all’alba e…» sbotta Roberts, prima di rendersi conto dello stato pietoso in cui versa.
«Sì, sì, mondi alternativi, Zagor prigioniero di una versione cattiva di sé stesso, affari arancioni che emettono luci colorate. Tutto a posto, tutto fatto, artefatto e Zagor cattivo andati, potete tornarvene tranquilli a casa. Io ora voglio solo andarmene a dormire.»
Passa tra i due agenti di Altrove stupefatti, sale sulla veranda e si appoggia alla porta. Lì si ferma e si volta con un un sorriso smagliante.
«Ovviamente, se dovessero capitarvi altri guai che solo uno SUPER come me può risolvere, sapete dove trovarmi!»

FINE